Pensare l'Italia by Galli della Loggi Ernesto & Aldo Schiavone

Pensare l'Italia by Galli della Loggi Ernesto & Aldo Schiavone

autore:Galli della Loggi, Ernesto & Aldo Schiavone [Galli della Loggi, Ernesto & Schiavone, Aldo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Capitolo quarto

Antropologia italiana

A.S. Quando si individuano nei nostri comportamenti collettivi tratti come la tendenza corporativa di cui abbiano appena discusso (tu dicevi «una predisposizione al privilegio»), una domanda diventa inevitabile. Questi atteggiamenti cosí diffusi fanno parte di un «carattere» italiano con cui dobbiamo fare i conti, una specie di costante sullo sfondo della nostra vita sociale? E possiamo fissarne gli aspetti piú salienti?

Sarei portato a rispondere di sí in entrambi i casi.

Credo cioè che esista un certo numero di dispositivi sociali e mentali – risultato di una selezione e di una stratificazione plurisecolare – sospesi tra storia, geografia e antropologia, che condizionano le nostre condotte e le nostre scelte. Non il rivelarsi misterioso di un’impronta originaria, ma l’esito di un lungo accumulo storico, una memoria involontaria di passaggi vincolanti del nostro passato, depositata in una struttura di predisposizioni e di attitudini.

Nella nostra storia questo «carattere» italiano si è formato assai prima che nascesse uno Stato unitario, in grado di dar vita a una «nazione». Un’altra contraddizione della nostra unità è stata quella di aver messo dentro un guscio nazional-statuale tardivo e improvvisato un’identità, un modo di essere italiani, un carattere collettivo insomma, che aveva invece alle sue spalle un passato lunghissimo, formatosi tutto al di fuori dello Stato unitario. Per due volte, separate da quasi un millennio, l’Italia aveva figurato come protagonista assoluta sulla scena dell’Occidente. La prima aveva riguardato l’antichità imperiale romana – un passato sepolto ormai da grandi discontinuità, sopravvissuto solo come una lontana memoria da riattivare. La seconda, fra XII e XVI secolo, culminata nel Rinascimento, quando si formarono i primi tratti «moderni» della nostra «italianità». Era impossibile che questo percorso lunghissimo non lasciasse delle tracce, non solo materiali, nello spazio e nel territorio, ma mentali e di comportamenti.

Tu hai scritto altrove di una distinzione, che ritengo importante, tra «nazione» e «patria». Ebbene, se assumiamo il punto di vista delle élite culturali del Paese, a me pare che l’esistenza di un’identità italiana, di un nostro carattere comune, specifico e condiviso, sia preesistita per un lunghissimo periodo alla formazione di uno Stato nazionale. Per dirlo con un esempio: sia Dante sia Petrarca (sebbene in modo non coincidente) avevano già un’idea abbastanza compiuta dell’Italia come soggetto unitario. L’immagine di un sistema di connessioni, di una rete di affinità e di interdipendenze, di un incancellabile orizzonte condiviso – di mentalità, di istituzioni, di linguaggi, di pratiche sociali – sia pure non determinato politicamente, sullo sfondo della vita particolare di ciascuna comunità cittadina o regionale. La consapevolezza, insomma, di una «patria» comune, in parte nutrita di elementi ereditati dal passato romano, in parte alimentata da elaborazioni piú nuove: ma in ogni caso una presenza rilevante, incontrovertibile.

Su questo fondo originario, già attivo fra XII e XIV secolo, si vennero poi depositando contenuti meno risalenti, e piú legati a esperienze successive. Possiamo tentarne una rapida stratigrafia, che è in qualche modo una ricapitolazione di tutta la nostra vicenda.

In primo luogo un’antica dissociazione fra civiltà (artistica, filosofica, giuridica, scientifico-tecnica, di gusto, di stili di vita) e potenza (politico-militare).



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